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Meccanismo perfetto PDF Stampa E-mail

22 Luglio 2023

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 Da Rassegna di Arianna del 20-7-2023 (N.d.d.)

Credo - sinceramente - che uno dei capolavori dell'universo capitalista occidentale sia aver prodotto un meccanismo perfetto, quale nessuna dittatura, nessun oscuro complotto di segreti poteri ha mai realizzato. Questo meccanismo perfetto è tale essenzialmente per due caratteristiche fondamentali:

- si attiva automaticamente, senza la necessità di far agire catene di comando - è totalmente pervasivo e tempestivo nella sua attuazione Inoltre, e non è poco, tale meccanismo si autoperfeziona ogni qualvolta che viene attivato, un po' come l'AI autoapprende attraverso il machine learning. Il cuore di questo meccanismo è la capacità di riconoscere le sorgenti e gli input giusti - un risultato che ovviamente è stato conseguito attraverso un lungo lavorio pluridecennale. Pertanto, lo schema di funzionamento è oggi il seguente:

- uno dei centri di potere reale (quelli non occulti, anzi, ma anche del tutto svincolati da qualsiasi rappresentanza e controllo democratico) lancia l'input, che può essere di svariata natura (emergenza sanitaria, emergenza bellica, emergenza climatica...) - dalla comunità degli 'esperti' del settore si attivano voci 'autorevoli' che supportano l'input, lo 'spiegano' e l'arricchiscono di dettagli, giustificando l'emergenza - le istituzioni politiche rappresentative iniziano ad agitare il tema, e (spesso con una certa discrezione) ad avviare processi legislativi che, a partire dall'emergenza del momento, producono effetti trasformativi sui meccanismi sociali, economici e democratici - i media mainstream raccolgono la palla e la rilanciano, amplificando il messaggio emergenziale e, in quanto pseudo-rappresentanti della pubblica opinione, si fanno promotori di una domanda che travalica l'azione politica (cosicché questa appare persino 'moderata') - l'intero spettro della comunicazione (non solo l'informazione, ma anche la pubblicità, lo spettacolo, la 'cultura' e l'arte) si fa a sua volta ripetitore delle stesse tematiche, completando l'effetto bolla, che avvolge completamente il cittadino, trasformando l'input originario in senso comune, in assioma che non necessita nemmeno più di essere spiegato - a loro volta, taluni gruppi sociali si fanno spontaneamente 'attivisti' a sostegno della tesi, con una modalità simile a quella dei media, favorendo la percezione che si tratti di un tema 'dal basso', e che l'azione politica sia 'ragionevole' - il conseguimento del consenso di massa, attraverso l'azione complessiva del meccanismo, fa sì che le voci dissenzienti siano tacitate 'vox populi', con i media che si assumono il compito ulteriore di indicare gli 'untori' più noti, mentre (ancora una volta) il comando politico può comodamente stare a guardare.

La perfezione del meccanismo risiede nel suo funzionamento spontaneo, senza le rigidità del comando. Una sorta di MinCulPop volontario, dal basso. Ovviamente l'efficacia persuasiva - e la sua durata - sono relative al tipo di input somministrato. Ma facendo dell'eccezione la norma, nuovi input (anche temporanei) suppliscono agli eventuali deficit di efficacia; inoltre, variando gli input variano anche gli schemi, il che rende più difficile l'agglutinarsi di forme di opposizione, dato che la geometria variabile genera linee di frattura differenti.

Enrico Tomaselli

 

 
Le narrazioni non vincono le guerre PDF Stampa E-mail

21 Luglio 2023

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 Da Comedonchisciotte del 18-7-2023 (N.d.d.)

L’arroganza consiste nel credere che una narrazione artificiosa possa, di per sé, portare alla vittoria. È una fantasia che ha attraversato tutto l’Occidente, soprattutto a partire dal XVII secolo. Recentemente, il Daily Telegraph ha pubblicato un ridicolo video di nove minuti in cui si sostiene che “le narrazioni vincono le guerre” e che le battute d’arresto in uno scenario bellico sono un fatto accidentale: ciò che conta è avere un filo narrativo unitario articolato, sia verticalmente che orizzontalmente, lungo tutto lo spettro – dal soldato delle forze speciali sul campo fino all’apice del vertice politico. Il succo è che “noi” (l’Occidente) abbiamo una narrativa irresistibile, mentre quella della Russia è “goffa”, quindi, è inevitabile che gli Stati Uniti vincano.

È facile deriderla, ma possiamo comunque riconoscere in essa una certa sostanza (anche se questa sostanza è un’invenzione). La narrazione è ormai il modo in cui le élite occidentali immaginano il mondo. Che si tratti dell’emergenza pandemica, del clima o dell’Ucraina, tutte le “emergenze” sono ridefinite come “guerre”. E tutte sono “guerre” che devono essere combattute con una narrazione unitaria e obbligatoria di “vittoria”, contro la quale è vietata ogni opinione contraria. L’ovvio difetto di questa arroganza è che richiede di essere in guerra con la realtà. All’inizio il pubblico è confuso, ma, man mano che le menzogne proliferano e si stratificano, la narrazione si separa sempre di più dalla realtà, anche se le nebbie della disonestà continuano ad avvolgerla. Lo scetticismo del pubblico si fa strada. Le narrazioni sul “perché” dell’inflazione, sul fatto che l’economia sia o no sana, o sul perché dobbiamo entrare in guerra con la Russia, iniziano a perdere colpi. […] Il punto debole di questo nuovo autoritarismo “liberale” è che i suoi miti narrativi chiave possono essere infranti. Basta poco; lentamente, la gente inizia a parlare della realtà.

Ucraina: come si vince una guerra che non si può vincere? La risposta dell’élite è stata la narrazione. Insistendo, contro la realtà dei fatti, che l’Ucraina sta vincendo e la Russia sta “cedendo”. Ma questa arroganza alla fine viene smontata dai fatti sul campo. Anche le classi dirigenti occidentali si rendono conto che la loro richiesta di un’offensiva ucraina di successo è fallita. Alla fine, i risultati militari sono più potenti delle chiacchiere politiche: Uno schieramento è distrutto, i suoi molti morti diventano la tragica “forza” per rovesciare il dogma. “Saremo in grado di estendere all’Ucraina l’invito ad aderire all’Alleanza quando gli alleati saranno d’accordo e le condizioni saranno soddisfatte… [tuttavia] a meno che l’Ucraina non vinca questa guerra, non c’è alcun problema di adesione da discutere” – ha dichiarato Jens Stoltenberg a Vilnius. Così, dopo aver esortato Kiev a gettare altre (centinaia di migliaia) di uomini nelle fauci della morte per giustificare l’adesione alla NATO, quest’ultima volta le spalle alla sua protetta. Dopotutto, si trattava di una guerra non vincibile fin dall’inizio. L’arroganza, ad un certo livello, risiede nel fatto che la NATO contrappone la sua presunta “superiorità” in termini di dottrina militare e di armamenti alla deprecata rigidità – e “incompetenza” – militare russa di stampo sovietico. Ma le operazioni militari sul campo hanno rivelato la dottrina occidentale per quel che è – arroganza – con le forze ucraine decimate e le armi della NATO ridotte a carcasse fumanti. È stata la NATO ad insistere sulla rievocazione della Battaglia del 73 Est (nel deserto iracheno, ma ora trasportata in Ucraina). In Iraq, il “pugno corazzato” aveva facilmente perforato le formazioni di carri armati iracheni: si trattava infatti di un “cazzottone” che aveva messo al tappeto l’opposizione irachena. Ma, come ammette francamente il comandante statunitense di quella battaglia di carri armati (il colonnello McGregor), il suo risultato contro un’opposizione demotivata era stato in gran parte fortuito. Tuttavia, il “73 Easting” è un mito della NATO, trasformato in dottrina generale per le forze ucraine – una dottrina strutturata sulla circostanza unica dell’Iraq. L’arroganza – in linea con il video del Daily Telegraph – sale tuttavia in verticale per imporre la narrazione unitaria di una prossima “vittoria” occidentale anche sulla sfera politica russa. È una vecchia storia che la Russia sia militarmente debole, politicamente fragile e incline alle spaccature. Conor Gallagher ha dimostrato con ampie citazioni che era stata esattamente la stessa storia anche nella Seconda Guerra Mondiale, si trattava di un’analoga sottovalutazione della Russia da parte dell’Occidente – combinata con una grossolana sopravvalutazione delle proprie capacità.

Il problema fondamentale del delirio è che l’uscirne (se mai succede) avviene ad un ritmo molto più lento degli eventi. Questo disallineamento può definire gli esiti futuri. Potrebbe essere nell’interesse del Team Biden supervisionare un ritiro ordinato della NATO dall’Ucraina, in modo da evitare che diventi un’altra debacle in stile Kabul. Perché ciò avvenga, il Team Biden ha bisogno che la Russia accetti un cessate il fuoco. E qui sta il difetto (ampiamente trascurato) di questa strategia: semplicemente, non è nell’interesse della Russia “congelare” la situazione. Ancora una volta, l’ipotesi che Putin “prenderebbe al volo” l’offerta occidentale di un cessate il fuoco è un modo di pensare arrogante: i due avversari non sono congelati nel senso basilare del termine – come in un conflitto in cui nessuna delle due parti è riuscita a prevalere sull’altra e sono bloccate. In parole povere, mentre l’Ucraina è strutturalmente sull’orlo dell’implosione, la Russia, al contrario, è del tutto plenipotente: dispone di forze ingenti e fresche, domina lo spazio aereo e ha quasi il dominio dello spazio elettromagnetico. Ma l’obiezione fondamentale ad un cessate il fuoco è che Mosca vuole che l’attuale collettivo di Kiev se ne vada e che le armi della NATO siano fuori dal campo di battaglia.

Quindi, ecco il problema: Biden ha un’elezione, e quindi sarebbe adatto alle esigenze della campagna democratica avere un “disimpegno ordinato”. La guerra in Ucraina ha messo in luce troppe carenze logistiche americane. Ma anche la Russia ha i suoi interessi. L’Europa è la parte più intrappolata dall’”allucinazione”, fin dal momento in cui si è gettata senza riserve nel “campo” di Biden. La narrazione dell’Ucraina si è interrotta a Vilnius. Ma l’amour propre di alcuni leader dell’UE li mette in conflitto con la realtà. Vogliono continuare ad alimentare il tritacarne ucraino, a persistere nella fantasia di una “vittoria totale”: “non c’è altro modo che una vittoria totale – e sbarazzarsi di Putin… Dobbiamo correre tutti i rischi per questo. Nessun compromesso è possibile, nessun compromesso“. La classe politica dell’UE ha preso così tante decisioni disastrose in ossequio alla strategia statunitense – decisioni che vanno direttamente contro gli interessi economici e di sicurezza degli europei – che ha molta paura. Se la reazione di alcuni di questi leader sembra sproporzionata e irrealistica (“Non c’è altro modo che una vittoria totale – e sbarazzarsi di Putin”) – è perché questa “guerra” tocca motivazioni più profonde. Riflette il timore esistenziale di un disfacimento della meta-narrazione occidentale che farà crollare la sua egemonia e, con essa, la struttura finanziaria occidentale. La meta-narrazione occidentale “da Platone alla NATO, è quella di idee e pratiche superiori le cui origini risalgono all’antica Grecia e che, da allora, sono state raffinate, estese e trasmesse nel corso dei secoli (attraverso il Rinascimento, la rivoluzione scientifica e altri sviluppi presumibilmente unicamente occidentali), cosicché oggi noi occidentali siamo i fortunati eredi di un DNA culturale superiore“. Questo è ciò che probabilmente avevano in mente gli autori del video del Daily Telegraph quando avevano insistito sul fatto che “la nostra narrativa vince le guerre”. La loro arroganza risiede nella presunzione implicita che l’Occidente, in qualche modo, vince sempre – è destinato a prevalere – perché è il destinatario di questa genealogia privilegiata.

Naturalmente, al di fuori della comprensione generale, è accettato che la nozione di “Occidente coerente” sia stata inventata, riproposta e utilizzata in tempi e luoghi diversi. Nel suo nuovo libro, The West, l’archeologa classica Naoíse Mac Sweeney contesta il “mito del padrone”, sottolineando che era stato solo “con l’espansione dell’imperialismo europeo d’oltremare nel XVII secolo che aveva iniziato ad emergere un’idea più coerente di Occidente, utilizzata come strumento concettuale per tracciare la distinzione tra il tipo di persone che potevano essere legittimamente colonizzate e quelli che potevano essere legittimamente i colonizzatori”.

Con questa invenzione dell’Occidente era arrivata anche l’invenzione della storia occidentale, un lignaggio elevato ed esclusivo che ha fornito una giustificazione storica per la dominazione occidentale. Secondo il giurista e filosofo inglese Francis Bacon, nella storia dell’umanità ci sono stati solo tre periodi di apprendimento e civiltà: “uno tra i Greci, il secondo tra i Romani e l’ultimo tra noi, cioè le nazioni dell’Europa occidentale“. Il timore più profondo dei leader politici occidentali – complice la consapevolezza che la “Narrazione” è una finzione che raccontiamo a noi stessi, pur sapendola essere di fatto falsa – è che la nostra epoca sia stata resa sempre più e pericolosamente dipendente da questo meta-mito. Se la fanno sotto non solo a causa di una “Russia potente”, ma piuttosto per la prospettiva che il nuovo ordine multipolare guidato da Putin e Xi, che si sta diffondendo in tutto il mondo, faccia crollare il mito della civiltà occidentale.

Alastair Crooke (tradotto da Markus) 

 

 
Le stesse ragioni di un anno fa PDF Stampa E-mail

19 Luglio 2023

 Da Rassegna di Arianna del 15-7-2023 (N.d.d.)

Nei primi giorni del conflitto russo-ucraino, poco meno di un anno e mezzo fa, scrivemmo il nostro punto di vista sulla questione delle intenzioni americane. Ritenevamo che il conflitto ruotasse intorno a queste poiché erano gli americani ad aver progressivamente influito sui già precari equilibri interni della disgraziata Ucraina, già a partire da Euromaidan nel 2014. Avevano continuato con una lenta e inesorabile penetrazione costante in termini di consiglieri militari e finanziari, think tank e varie propaggini tentacolari che arrivarono a prendere il coniglio scappato dal cilindro Zelensky, a suo tempo eletto su onda populista stanca di corruzione, malaffare e continua tensione con la Russia sgradita ai più di quel Paese, quantomeno i residenti della parte centro-orientale, trasformandolo in Capitan Ucraina. Ma non c’era solo questo. C’era una più ampia strategia di pressione sul confine orientale e caucasico russo e c’erano stati diversi segnali di ritiro da trattati internazionali sui missili a medio raggio ed altro relativamente il bilanciamento atomico. Già a dicembre e poi a gennaio del ‘22, i russi richiesero perentoriamente un tavolo di confronto a Ginevra per chiarirsi su questo che rappresentava la più minacciosa rottura degli equilibri tra le due potenze atomiche planetarie dalla fine della IIWW (a cui s’era aggiunto un fallito tentativo di rivoluzione colorata in Kazakistan a gennaio), equilibrio che aveva retto anche lungo tutta la Guerra fredda. Tutto ciò è stranoto a qualsiasi analista non sia arruolato negli effettivi della propaganda atlantista, inclusi i pochi “realisti” americani che ogni tanto e invano vengono da qualcuno postati per mostrare ai propri contatti che c’è ancora qualcuno col barlume della ragione. Il fatto è che la politica internazionale o geopolitica (non sono la stessa cosa per quanto si occupino della stessa cosa) è un campo di studi come un altro, con le sue convenzioni, le sue scuole, i suoi metodi, la sua storia, una vasta e complicata serie di informazioni che i più non conoscono affatto. I più, sono stati convocati davanti ai fatti del febbraio ’22 come se il mondo iniziasse quel giorno e si riducesse a quello che i media occidentali (che ovviamente sono strumenti del conflitto com’è ovvio che sia) mostravano e non mostravano, dicevano e non dicevano, secondo logiche di primo livello (dicotomie semplificanti) condite da toni strappa-emozioni di rabbia e indignazione a cui era impossibile resistere.

In quei primi giorni, scrivemmo più volte quale fosse, secondo il nostro punto di vista, la razionale della strategia americana. Gli Stati Uniti d’America erano e sono in una curva di potenza calante e con loro l’intero mondo occidentale. […] Stante questa situazione è ormai noto che: 1) l’ordine (approssimativo e dinamico) planetario transita da un sistema rigido con a capo gli USA e area occidentale da una parte e un gruppo di pochi ma cattivi ragazzi dall’altra con una vasta platea di prede per occasionali egemonie a un ordine più complesso in cui compaiono un gran numero di soggetti di diverso peso ed interesse, il c.d. ordine multipolare che secondo alcuni (in genere, americani) non è per niente ordinato in quanto fluttua. Per capire questo ordine fluttuante non c’è miglior soggetto da indagare che l’India. L’India ha da un po’ proclamato il proprio stile di relazione internazionale ovvero il multi-allineamento che poi è, in pratica, il rifiuto stesso del concetto di “allineamento”. Se uno punta a diventare un “polo” va da sé che non è allineato che a sé stesso. Gli indiani sono BRICS ed anche SCO ed AIIB ma flirtano anche con il tentativo americano di fare una NATO dell’indo-pacifico (flirtare non comporta fare sesso), non vogliono la nuova moneta BRICS ma promuovere la propria rupia, comprano armi russe tanto quanto americane, comprano energia dai russi e aprono a nuove joint venture tecnologiche con Washington, sono buoni amici dell’Iran e penetrano silenziosamente in Africa. L’anno scorso hanno aumentato il trading commerciale con gli USA che ora supera di poco quello con la Cina, mentre UAE-SA sommati (il 3° e 4° Paese per volumi di commercio) superano gli uni e gli altri. Oggi l’India è la 5a potenza economica, tra due anni sarà 4a, intanto si dilettano in viaggi sulla Luna, Chandrayaan-3 è partita l’11 luglio ed andrà in cerca di acqua ghiacciata nel sud lunare. Gli indiani stanno cercando di diventare un polo autonomo e fanno in più piccolo quello che già da tempo fanno più in grande i cinesi. Così per molti altri soggetti a vari livelli (esclusi i paesi europei invano stimolati da Macron che voleva pure farsi invitare al vertice BRICS di agosto); 2) dal punto di vista americano, i soggetti più temibili di questo riassetto mondiale sono la Cina per ragioni demo-economiche e la Russia per ragioni geo-militari; 3) normalmente, uno stratega consiglierebbe agli USA di dividere i due competitor come pensava di fare Trump, l’area neo-con che detiene le leve della strategia dell’attuale presidenza Biden, invece, pensa che prima bisogna depotenziare la Russia rendendola un rottame di basse pretese, per poi dedicarsi alla Cina; 4) parallelamente e fondamentale, l’accorpamento stretto in termini di egemonia semi-imperiale di tutte le schegge occidentali, quella già orbitanti a livello naturale (la Fratellanza Anglosassone CAN-AUS-NZ-UK) e quella da mettere in ordine ovvero l’Europa e gli alleati pacifici orientali come il Giappone ed altri (Sud Corea, Filippine e in maniera più ambigua anche altri da contendere alla Cina).

Ecco quindi chiaro cosa muoveva gli americani verso il confine russo: a) provocare l’invasione dell’Ucraina (a cui i russi non potevano sottarsi anche volendo come per altro lo stesso Putin ha tentato di fare negli ultimi anni sebbene spinto da parti interne che poi sono le stesse che oggi l’accusano di combattere con la mano legata dietro la schiena mentre altri non vogliono proprio il conflitto con l’Occidente in quanto si dedicano all’economia -soprattutto personale- e non alla geopolitica); b) obbligare l’Europa a recidere ogni legame (energetico, commerciale, turistico e financo culturale) con la Russia, usando l’Europa dell’est contro quella dell’ovest; c) rilanciare  NATO e spesa militare europea (tanto all’inizio ne saranno loro i diretti beneficiari visto che gli europei non hanno una industria militare di livello e comunque diffidano gli uni degli altri per atavici motivi); d) portarsi a casa nuove pedine utili per il prossimo e strategico conflitto dell’Artico (Svezia e Finlandia); e) stabilire su questo quadrante i due paradigmi imaginari (cioè che valgono a livello di “valori” nelle immagini di mondo) della loro nuova strategia globale: democrazie vs autocrazie, ordine basato sulle regole (decise a loro, controllate da loro, sanzionate da loro e vale anche per la riformulazione della globalizzazione ex-WTO). Verso la Russia nello specifico, il loro obiettivo è la consunzione ovvero coinvolgerla in un conflitto in Ucraina lungo, oneroso, sfibrante, generatore di contraddizioni interne. L’unico conflitto operato dagli USA nel dopoguerra vinto “senza se e senza ma” è stato la Guerra fredda che si basava proprio su questa strategia di lungo periodo. Ne scrivemmo un anno e mezzo fa, non vediamo ragioni per modificare l’analisi.

L’attualità recente ci ha portato al vertice NATO di Vilnius. È incredibile quanto irriflessivo sia il discorso pubblico. Zelensky si è dispiaciuto per non esser stato ammesso nella NATO? Ma solo un giornalista di cappa e spada che scrive per i pesci rossi irriflessivi della sua bolla poteva credere realistico che l’Ucraina in guerra accedesse ad una alleanza basata sull’articolo V. L’Ucraina, dice Biden, entrerà quando sarà finita la guerra che è, dal punto di vista russo, l’ottimo motivo per non farla finire mai che è poi proprio quello che vogliono gli americani. Forse poi un giorno finirà e del trattato di pace, ovviamente, farà parte la promessa di non accorparla nell’Alleanza atlantica, ma siamo lontani da quel giorno perché l’interesse americano è farla durare il più a lungo possibile quella guerra. Ora danno missili sempre più a lunga gittata (prima esclusi con sdegno per non “provocare escalation”), poi le bombe a grappolo (che sono un ottimo strumento per congelare i confini provvisori poiché, in pratica, i territori limitrofi diventano minati, quelli nell’Ucraina russa e quelli dell’Ucraina ucraina visto che ovviamente Shoygu ha annunciato la reciprocità). Al di là della guerra delle parole sui media e sui social, nei fatti, i confini provvisori della contesa sono quelli e non si spostano decisivamente da mesi.

Il congelamento del conflitto tempo necessario per le elezioni americane è attivamente contrattato dietro le quinte. Probabilmente anche su richiesta europea che in effetti sta terminando le armi da inviare al fronte. Tra l’altro, i sondaggi registrano una certa stanchezza delle opinioni pubbliche vero l’omino in tuta verde e l’intera questione che comincia a puzzare di fregatura organizzata. Ma forse, anche per una preoccupazione che s’affaccia all’orizzonte cui ha dato voce un simpatico articolo dell’Economist. Che succede se poi a novembre del prossimo anno vince Trump? Trump ha annunciato che con lui presidente un secondo dopo il conflitto cesserebbe, che fare? Aspettare … In mezzo poi ci dovrebbero esser le elezioni russe, ucraine (che, punta avanzata del fronte democratico, non le farà, tanto la Costituzione è sospesa da un anno e mezzo e va tutto bene, il “popolo” è con Zelensky e guai a chi obietta), quelle europee in cui s’annunciano nuovi equilibri; quindi, mettere tutto in PAUSE conviene a tutti.

Dopo aver inizialmente aderito allo sdegno occidentale verso la Russia, ora gli svizzeri sono tornati alla finestra riscoprendosi neutrali, non forniscono armi agli ucraini, hanno ripreso ad ospitare capitali russi. Come diceva il poeta “Sanno più cose gli svizzeri di quante ne sogni la tua filosofia, Orazio…”.

Pierluigi Fagan

 
Fuoco purificatore PDF Stampa E-mail

16 Luglio 2023

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L'empietà inconsapevole di chi costruisce una Venere con la plastica, derivato del petrolio, e poi la circonda di stracci, profanando l'archetipo della bellezza, viene dissolta e purificata. In apparenza sembra essere stato il gesto di un barbone, ma in fondo chi non ha visto in quell'episodio una forma di rivincita del bello contro l'orribile?

Le volontà invisibili attraversano tempo e spazio secondo vie sconosciute ai più, e si affermano attraverso gesti insospettabili, casuali, inconsapevoli persino per chi determina l'atto finale. Ci piace pensare che tutto quello che deturpa le nostre bellezze, a Napoli come in tutta Italia e nel mondo, possa essere suscettibile di attenzione da parte di forze invisibili che ne percepiscono la natura bassa e profana, e con ciò pongono fine ad ogni bruttura di natura demonica e, pertanto, nemica degli Dei.   La vendetta del "bello", vento purificatore che segnerà l'avvento di una nuova era, sarà terribile e non farà prigionieri.

Francesco Di Marte

 

 
Crimini contro Assange PDF Stampa E-mail

14 Luglio 2023

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 Da Comedonchisciotte del 10-7-2023 (N.d.d.)

Julian Assange è stato perseguitato con false accuse per più di dieci anni e tenuto in prigione o agli arresti domiciliari nell’ambasciata dell’Ecuador a Londra per un decennio. I problemi di Assange sono iniziati quando due donne svedesi lo hanno portato a casa nel loro letto e in seguito si sono lamentate perché non aveva usato il preservativo. Una o entrambe volevano che facesse il test dell’Aids. Stupidamente, lui si è rifiutato e una o entrambe le donne si sono rivolte alla polizia per sapere se poteva essere obbligato a fare il test. La polizia, corrotta o stupida, ha inventato un’accusa di stupro a partire dalla denuncia delle donne. Un pubblico ministero svedese ha indagato Assange per stupro e, non avendo riscontrato alcuno stupro, ha ritirato il mandato d’arresto per presunto stupro il giorno successivo alla sua emissione. “Per quanto mi riguarda, non ci sono più motivi per sospettare che Assange abbia commesso uno stupro”, ha dichiarato il 21 agosto 2010 il procuratore capo Eva Finne. I media occidentali, ovviamente, hanno continuato a raccontare la falsa storia dello stupro per un decennio. Assange era libero di andare e si recò nel Regno Unito. Un secondo procuratore svedese, il vice procuratore capo Eva-Marie Persson, sospettata da alcuni di essere stata corrotta per aiutare Washington a mettere le sue sporche mani corrotte su Assange, riaprì il caso contro Assange con un falso pretesto. Voleva estradarlo in Svezia per interrogarlo, ma le estradizioni non vengono concesse per gli interrogatori. Devono esserci accuse riconosciute da un tribunale. Il secondo procuratore svedese non aveva alcuna accusa. Assange e i suoi sostenitori pensavano che se lo avesse portato in Svezia lo avrebbe consegnato agli americani. Assange ha detto che avrebbe potuto interrogarlo nel Regno Unito.

Il risultato è stato che gli inglesi hanno obbedito al loro padrone a Washington e hanno usato la richiesta di estradizione per tenere Assange agli arresti domiciliari. Una volta che gli inglesi hanno messo le mani su Assange nel 2019, l’“indagine” di Persson ha raggiunto il suo scopo e lei ha abbandonato la sua “indagine”. Assange si rese conto che il corrotto sistema di “giustizia” britannico stava cercando un modo per aggirare la legge del Regno Unito in modo che il governo britannico potesse consegnarlo a Washington. Washington era al lavoro per architettare un racconto secondo cui Assange avrebbe cospirato con gli hacker per rubare i segreti della sicurezza nazionale degli Stati Uniti e per vendere il falso racconto a un gran giurì idiota. Tutto ciò che Assange aveva fatto era stato pubblicare i documenti che gli erano trapelati, cosa che i giornalisti hanno sempre fatto.

Il presidente dell’Ecuador, Rafael Correa, ha concesso ad Assange asilo politico e Assange è fuggito nell’ambasciata ecuadoriana a Londra. Ma i britannici si rifiutarono di riconoscere il suo asilo, così come i sovietici si rifiutarono di riconoscere l’asilo concesso dagli Stati Uniti al cardinale ungherese Mindszenty, che dovette vivere per 15 anni nell’ambasciata statunitense a Budapest. Il successivo presidente dell’Ecuador, Lenin Moreno, considerato da molti un pezzo di merda, è sospettato di aver preso una tangente da Washington per revocare l’asilo e la cittadinanza ecuadoriana ad Assange nel 2019. I britannici hanno trascinato Assange fuori dall’ambasciata e lo hanno tenuto in isolamento per quattro anni mentre un sistema giudiziario britannico corrotto aggirava la legge per poterlo consegnare a Washington.

Questo ci dice che né gli Stati Uniti né il Regno Unito hanno più dei sistemi legali. Hanno armato la legge. Gli inglesi lo hanno fatto fingendo di essere legali e trovando sempre un modo per aggirare la legge. Gli Stati Uniti non si sono preoccupati e hanno semplicemente dichiarato che i giornalisti che hanno pubblicato fughe di notizie sulla sicurezza nazionale sono spie. Questa affermazione è fallita negli anni ’70 quando è stata usata contro Daniel Ellsberg, che ha consegnato i Pentagon Papers al New York Times. Cinquant’anni fa, a differenza di oggi, c’era ancora rispetto per la Costituzione degli Stati Uniti. C’è da chiedersi come i corrotti procuratori americani che stanno costruendo un falso caso contro Assange possano essere rispettati da qualcuno o possano continuare a fare carriera. Ci si deve chiedere lo stesso dei giudici corrotti del Regno Unito. Chi mai parlerebbe con una simile spazzatura? I senatori statunitensi Mark Warner e Lindsey Graham considerano Assange, un giornalista onesto, come “un complice impegnato negli sforzi per minare la sicurezza americana”. Questo tipo di stupidità e di odio per i diritti del Primo Emendamento domina ormai la politica americana.

Come può un rifiuto [umano] come Lenin Moreno aspettarsi di essere accolto educatamente in politica e nella società? I media americani e britannici, naturalmente, hanno gettato via i loro stessi diritti del Primo Emendamento saltando addosso ad Assange per il fatto che è un traditore e un bambino viziato. I media puttanieri hanno coperto i crimini commessi dai governi contro Assange fornendo solo la falsa narrazione ufficialmente inventata. Quando i media occidentali hanno abbandonato Assange, hanno abbandonato la loro indipendenza e il loro diritto di cronaca. Oggi i media occidentali possono funzionare solo come un ministero della propaganda per l’élite al potere.

Paul Craig Roberts (Traduzione di Costantino Ceoldo)

 
Cinque cause del fallimento del dissenso PDF Stampa E-mail

11 Luglio 2023

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 Da Rassegna di Arianna del 10-7-2023 (N.d.d.)

Il movimento complessivo del dissenso è fallito, almeno fino a questo momento, per alcune ragioni su cui a mio avviso sarebbe necessaria una riflessione pubblica (che dubito ci sarà proprio in virtù della natura e della vocazione privatistica e individualistica di larga parte del dissenso). Ecco alcuni spunti per questa riflessione (che non ci sarà). Il dissenso è in crisi quasi terminale perché:

1) i suoi leader, e mi riferisco a quelli che hanno capeggiato le cosiddette liste antisistema alle elezioni 2022, sono (con alcune parziali eccezioni che riconosco) talmente imbevuti di neoliberismo nel metodo, più che nel merito, da aver impostato una campagna elettorale figlia delle loro idiosincrasie ideologiche. Inoltre si tratta di personaggi spesso egocentrici, pieni di sé, vanagloriosi, volubili, nevrotici e che si considerano fuoriclasse circondati da brocchi. Il loro metodo ricalca esattamente quello utilizzato dal mainstream per gestire le relazioni politiche, mediatiche, umane in un sistema neoliberale. Direi che si comportano come il liquido che si adatta perfettamente alla forma del bicchiere che lo contiene. Tuttavia, sarebbe assurdo fargliene una colpa. Nati e cresciuti nel neoliberismo, affascinati dal culto della notorietà, è normale che abbiano una mentalità e dei modi di fare neoliberisti (sarebbe stupefacente il contrario); 2) molti candidati di grido, influencer dell’area del dissenso, si sono rivelati, nei modi di fare, uguali se non peggiori dei leader che li hanno inseriti in lista. Anche questo è normale. Un influencer, un creatore di contenuti, nato e cresciuto nel neoliberismo, che per fare like e visualizzazioni deve confrontarsi in rete con strutture, piattaforme e modalità tipiche del neoliberismo, o si adatta a queste strutture e modalità, o fa 4 like e 5 visualizzazioni a post o a video e va a casa. Un influencer, per definizione, non può essere estraneo al culto della notorietà e ai riti con cui si celebra questo culto. Per questa ragione, per stare a galla sul web e continuare a essere un influencer, dovrà anteporre la salvaguardia del suo pacchetto di followers che interagiscono sui suoi profili e canali rispetto alle ragioni dell’analisi politica (che talvolta necessitano di prendere posizioni scomode e finanche irricevibili per un segmento più o meno importante della propria riserva di followers). Infine, gli influencer candidati non hanno portato molti voti alle liste che hanno fatto a gara per accaparrarseli; 3) il movimento del dissenso, nella sua base sociale diffusa, è neoliberista e individualista quanto i vertici, se non addirittura di più. La maggioranza delle persone che manifestavano nel 2021 lo faceva per raggiungere obiettivi contingenti: ottenere, in qualche modo, il green pass. E per ottenerlo aveva 3 possibilità (escludendo da subito quella delle 2-3 vaccinazioni): a) procurarselo falso; b) ammalarsi, guarire e ottenere quello da guarigione; c) fare in modo che il governo revocasse la misura restrittiva. Bene, una volta realizzato, in un modo o nell’altro, quest’obiettivo, i manifestanti che nel 2021 gridavano in piazza “la gente come noi non molla mai”, hanno mollato e sono tornati a farsi gli affari propri determinando un riflusso che ha indebolito le capacità politiche propulsive del movimento. Anche questo è normale e ci sta, perché nel neoliberismo la politica viene interpretata, dalla sua base sociale diffusa, come una televendita. Io elettore, iscritto, militante o simpatizzante chiedo a te, soggetto politico, di vendermi un prodotto e comunque si concluda la transazione, a transazione effettuata separerò la mia strada dalla tua. Nel 2021 la base sociale diffusa di queste manifestazioni chiedeva, ai soggetti politici che si facevano interpreti di questo movimento di protesta, una cosa sola: la fine del green pass. E quando l’ha ottenuta, ossia quando ha soddisfatto in un modo o nell’altro la sua esigenza legittima e immediata, ha salutato la politica e i suoi interpreti organizzati ed è tornata a fare ciò che faceva prima, nella “vita normale”. L’interpretazione della politica come una televendita non concerne un rapporto duraturo tra base e vertice politico, così come l’acquisto di un prodotto da un venditore non richiede un rapporto continuativo tra le parti in causa della transazione. A transazione avvenuta, le parti si salutano e amen. Finché la politica e i suoi attori di riferimento saranno interpretati, nel basso, come fornitori di prodotti che diventano immediatamente truffatori nel momento in cui non riescono a consegnare, chiavi in mano, il prodotto richiesto dall’acquirente (la base sociale), il rapporto tra base e politica sarà sempre e comunque viziato da un approccio neoliberista che non permetterà un consolidamento degli interpreti politici della protesta popolare. La politica non è una televendita; 4) i movimenti del dissenso si sono caratterizzati per una straordinaria propensione allo scissionismo e al settarismo. Questo accade perché la società di mercato ha in gran parte disarticolato e depotenziato le capacità degli agglomerati umani di fare comunità. In breve, alla prima volta che mi contraddici, ti sbatto fuori o ti metto nelle condizioni di andartene. Oppure, alla prima volta che incontro, nell’agglomerato di riferimento, una persona o una situazione che mi infastidisce, me ne vado. La società di mercato è nemica della dialettica. Nella base come nei vertici, l’arroganza e la hybris la fanno da padrone. Molte volte ho sentito dire da attivisti semplici “se non si fa come dico io me ne vado”. Infine, dopo il 25 settembre 2022 molti partiti del dissenso si sono dissanguati a livello di iscritti perché questi ultimi si sono allontanati in seguito alle polemiche post elettorali divampate nei suddetti partiti. Un comportamento simile, basato sul presupposto “o siete tutti uniti o me ne vado”, testimonia scarsa capacità di interrelazione umana, oltre a nessuna capacità di fare politica. È assolutamente normale, infatti, che nei partiti si discuta e finanche si litighi. Lasciare perdere tutto perché “gli altri si dividono” è un atteggiamento, oltre che arrogante e scostante, molto divisivo. Lo scissionismo è dunque una questione di vertice come di base. Idem per il settarismo. Che è la più grave malattia della politica “antisistema” e che è indice di profondo infantilismo. “Se parli con Tizio che mi è antipatico non parlerò più con te e ti boicotterò” è un modo di fare che sarebbe già odioso e ingiustificabile  a 12 anni, figuriamoci a 50… 5) i partiti del dissenso sono andati in profonda crisi poiché caratterizzati, al loro interno, da una irrefrenabile propensione all’intrigo, al cicaleccio e al gossip. Questo atteggiamento è deleterio ma normale poiché vecchio come il mondo e rodato da millenni. Purtroppo l’abuso delle chat e dei social ha amplificato il problema, rendendolo endemico e spesso ingestibile. La commistione tra gossip e politica è un fattore che occorre tenere presente per capire i perché del decadimento dei soggetti politici interpreti di qualsiasi istanza (di consenso o di dissenso).

Bene, con questo breve ma noioso scritto ho provato a dire la mia, in maniera largamente abbozzata e insufficiente, su di un tema di stretta attualità sebbene di relativo interesse. Queste mie parole saranno oggetto di futura riflessione presso i movimenti del dissenso? Assolutamente no. È tutto bloccato dal neoliberismo e dalla hybris che caratterizza ideologia e prassi di buona parte (non tutti, sia chiaro!) di questi movimenti e dei loro interpreti politici e mediatici (influencer). In ogni caso ci ho provato. Il sasso nello stagno l’ho buttato. Magari tra qualche tempo tornerò nuovamente sul tema, con degli approfondimenti. Grazie a chiunque abbia avuto la pazienza di leggerlo e spero sufficientemente lucido…

Paolo Borgognone
 
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